Il tempo dell'ASO nel flusso di lavoro della parodontologia: intervista al Dott. Parma Benfenati
Il noto parodontologo spiega perché l’ASO è fondamentale nell’ottimizzazione delle procedure diagnostiche e terapeutiche parodontali.
- Blog e Notizie
- 25/01/2024
- 29/01/2024
Francesca Bianchi: Dott. Parma Benfenati, una lunga carriera professionale dedicata principalmente alla parodontologia: in questo arco temporale, quali sono stati i cambiamenti più significativi nell’ambito di questa disciplina?
Stefano Parma Benfenati: Mi reputo particolarmente fortunato per aver iniziato a lavorare all’inizio degli anni ’80, con il contestuale e contemporaneo avvento delle tecniche rigenerative, soprattutto la Rigenerazione Guidata dei Tessuti (GTR), e successivamente anche all’inizio degli anni ’90 con l’implantologia osteointegrata. Per cui nei primi anni della mia carriera professionale ho eseguito una parodontologia di tipo classico, per poi avvantaggiarmi di tecniche più innovative, e soddisfare le esigenze e le aspettative sia mie che dei miei pazienti.
F.B.: Come concilia il tempo dedicato alla clinica e all’ambito scientifico-didattico con il tempo extra-lavorativo?
S.P.B.: Sicuramente l’impegno didattico è ancora molto presente e stimolante e, anche dopo tanti anni, mi porta a dedicarvi una gran parte della giornata, rinunciando a hobby extra ambulatoriali o ludici. La mia passione professionale è ancora oltremodo forte, più che presente, per le tante soddisfazioni sia cliniche che professionali, ma soprattutto umane.
F.B. Nella sua realtà professionale, qual è il ruolo dell’ASO nell’ottimizzazione delle procedure diagnostiche e terapeutiche parodontali?
S.P.B.: Il ruolo dell’ASO è assolutamente indispensabile. Bisogna parlare di team e non di un solo professionista. È necessario valorizzare un team di collaboratori in cui sia gli igienisti, sia gli ASO giocano un ruolo davvero fondamentale, anche perché sono loro che trascorrono sicuramente più tempo con i pazienti e li seguono nei vari momenti clinici sia pre-diagnostici che e soprattutto terapeutici. Ritengo sia impossibile lavorare, non solo chirurgicamente, ma in qualsiasi branca dell’odontoiatria, senza una persona adeguatamente e professionalmente molto preparata.
Il ruolo dell’ASO è imprescindibile ed è sempre stato indispensabile. Ricordo che fin dalle mie prime esperienze cliniche, chirurgiche e parodontali presso la Boston University, all’inizio degli anni ’80, era stato enfatizzato il ruolo dell’assistente alla poltrona come persona assolutamente necessaria in caso di chirurgia parodontale. Oggi questo concetto va esteso anche alla chirurgia implantare e a qualsiasi fase chirurgica, dove sia previsto per esempio il sollevamento di entrambi i lembi, vestibolare e linguale. Facciamo un esempio molto pratico: se io devo eseguire un allungamento di corona clinica su un elemento completamente fratturato con l’obiettivo di recuperare tale elemento dentale (ad es. un 4.6 cariato sotto gengiva), con un allungamento di corona clinica a 360°, devo sollevare un lembo tanto sul lato vestibolare quanto su quello linguale. Avere un ottimo accesso chirurgico è importante. Tale accesso e anche la gestione delle varie fasi chirurgiche sono necessariamente controllati ed eseguiti da due operatori: il chirurgo parodontale (o il clinico che si accinge a tale procedura chirurgica) e l’assistente dentale. In poche parole, come ci veniva detto a scuola, erano quattro le mani che dovevano lavorare all’interno del cavo orale, proprio per gestire al meglio ogni situazione clinica. Per fare un ulteriore esempio pratico: trattando il versante destro, io, con uno specchietto divaricatore allontano la guancia destra (essendo di mano destra), mentre con lo strumento operativo eseguo il necessario trattamento dei tessuti duri per ottenere l’obiettivo terapeutico di allungare la corona clinica, mentre contestualmente l’assistente deve, sul lato linguale, con una mano aspirare, azione fondamentale in qualsiasi ambito chirurgico, e con l’altra mano divaricare la lingua, gesto basilare per un adeguato accesso. Per cui quattro mani sono indispensabili. Quando poi l’operatore si accinge a lavorare sul versante linguale è consigliato allontanare il lembo linguale, magari con uno scollaperiostio (tipo Prichard) per accedere alle strutture profonde e all’osso, e con l’altra mano utilizzare lo strumentario chirurgico e non. L’assistente avrà il compito importantissimo di proteggere la lingua. Il mio consiglio è che il lembo venga gestito dall’operatore mentre l’allontanamento della lingua, per facilitare l’accesso chirurgico, da una delle due mani dell’assistente; al contempo la seconda mano deve assolutamente occuparsi dell’aspirazione chirurgica o non, proprio per garantire l’esecuzione ideale di tale procedura. Il concetto del lavoro a quattro mani è sempre valido in qualsiasi fase chirurgica che preveda un eventuale coinvolgimento di entrambi i versanti: vestibolare-linguale oppure vestibolare-palatino.
Un altro ruolo fondamentale dell’ASO è quello di aiutare il clinico soprattutto nelle fasi di documentazione del caso. Ricordo che nei primi anni ’80, fino a metà anni ’90 - comunque prima dell’avvento dei sistemi digitali - l’operatore, per documentare una fase chirurgica o un eventuale aspetto terapeutico, era costretto a fare le foto da solo e mediante un sistema di diapositive, che venivano poi visualizzate e ricevute solo dopo dieci-quattordici giorni; per tale ragione l’operatore era indotto a fare più scatti per avere alla fine un’immagine adeguata dal punto di vista iconografico. Ricordo che dovevo interrompere l’intervento chirurgico, togliermi i guanti, prendere la macchina fotografica, scattare la foto, anzi molte foto per le ragioni suddette, rimettermi i guanti e continuare l’intervento, sempre augurandomi che l’immagine fosse soddisfacente per le mie finalità di documentazione e didattiche.
Viceversa, ormai da quasi vent’anni, con l’avvento della fotografia digitale, la documentazione iconografica dei casi (almeno nel mio ambulatorio) è completamente delegata agli ASO, in modo tale da poter evitare qualsiasi interruzione della fase chirurgica (per il necessario cambio guanti), nonché prolungando tempi operativi con effetti negativi sul risultato terapeutico, sulla gestione e sulla sensibilità del paziente.
Mi affido inoltre completamente alle mie talentuose assistenti dentali per catalogare le varie documentazioni nel modo più preciso e utile.
Un altro principio che mi era stato trasmesso durante il mio periodo di formazione negli Stati Uniti, in maniera forte, e che ho continuato a seguire rigorosamente anche dopo aver terminato il percorso didattico, era la possibilità di valutare la nostra performance professionale attraverso la macchina fotografica.
Tale convincimento è ancora attualissimo: infatti, più riusciamo a documentare con un’iconografia particolarmente accurata, più riusciamo ad “imparare” dall’esito dei nostri casi clinici, ma soprattutto dagli insuccessi, per evitare in futuro “sviste”. Per cui, grazie a strumenti come la macchina fotografica oppure la telecamera, riusciamo con successo a proseguire il nostro personale processo di crescita professionale.
Qualsiasi strumento di documentazione digitale al giorno d’oggi può essere assolutamente gestito dal personale ASO, adeguatamente preparato, secondo gli obiettivi del clinico e dell’operatore.
Senza le mie ASO mi sentirei perso! Conto molto su di loro, non solo nella preparazione della sala chirurgica e degli strumenti lavorativi, ma anche a livello organizzativo e umano. Caratterialmente sono molto empatiche con il paziente e lavorano bene in team, agevolando lo svolgimento delle mie mansioni.
Per esempio, le ASO anticipano la mia spiegazione dell’iter durante la prima visita, illustrando al nuovo paziente l’importanza e la funzionalità del sondaggio parodontale.
L'intervista è stata pubblicata sul numero 4/2023 della rivista ASONEWS
Stefano Parma Benfenati: Mi reputo particolarmente fortunato per aver iniziato a lavorare all’inizio degli anni ’80, con il contestuale e contemporaneo avvento delle tecniche rigenerative, soprattutto la Rigenerazione Guidata dei Tessuti (GTR), e successivamente anche all’inizio degli anni ’90 con l’implantologia osteointegrata. Per cui nei primi anni della mia carriera professionale ho eseguito una parodontologia di tipo classico, per poi avvantaggiarmi di tecniche più innovative, e soddisfare le esigenze e le aspettative sia mie che dei miei pazienti.
F.B.: Come concilia il tempo dedicato alla clinica e all’ambito scientifico-didattico con il tempo extra-lavorativo?
S.P.B.: Sicuramente l’impegno didattico è ancora molto presente e stimolante e, anche dopo tanti anni, mi porta a dedicarvi una gran parte della giornata, rinunciando a hobby extra ambulatoriali o ludici. La mia passione professionale è ancora oltremodo forte, più che presente, per le tante soddisfazioni sia cliniche che professionali, ma soprattutto umane.
F.B. Nella sua realtà professionale, qual è il ruolo dell’ASO nell’ottimizzazione delle procedure diagnostiche e terapeutiche parodontali?
S.P.B.: Il ruolo dell’ASO è assolutamente indispensabile. Bisogna parlare di team e non di un solo professionista. È necessario valorizzare un team di collaboratori in cui sia gli igienisti, sia gli ASO giocano un ruolo davvero fondamentale, anche perché sono loro che trascorrono sicuramente più tempo con i pazienti e li seguono nei vari momenti clinici sia pre-diagnostici che e soprattutto terapeutici. Ritengo sia impossibile lavorare, non solo chirurgicamente, ma in qualsiasi branca dell’odontoiatria, senza una persona adeguatamente e professionalmente molto preparata.
Il ruolo dell’ASO è imprescindibile ed è sempre stato indispensabile. Ricordo che fin dalle mie prime esperienze cliniche, chirurgiche e parodontali presso la Boston University, all’inizio degli anni ’80, era stato enfatizzato il ruolo dell’assistente alla poltrona come persona assolutamente necessaria in caso di chirurgia parodontale. Oggi questo concetto va esteso anche alla chirurgia implantare e a qualsiasi fase chirurgica, dove sia previsto per esempio il sollevamento di entrambi i lembi, vestibolare e linguale. Facciamo un esempio molto pratico: se io devo eseguire un allungamento di corona clinica su un elemento completamente fratturato con l’obiettivo di recuperare tale elemento dentale (ad es. un 4.6 cariato sotto gengiva), con un allungamento di corona clinica a 360°, devo sollevare un lembo tanto sul lato vestibolare quanto su quello linguale. Avere un ottimo accesso chirurgico è importante. Tale accesso e anche la gestione delle varie fasi chirurgiche sono necessariamente controllati ed eseguiti da due operatori: il chirurgo parodontale (o il clinico che si accinge a tale procedura chirurgica) e l’assistente dentale. In poche parole, come ci veniva detto a scuola, erano quattro le mani che dovevano lavorare all’interno del cavo orale, proprio per gestire al meglio ogni situazione clinica. Per fare un ulteriore esempio pratico: trattando il versante destro, io, con uno specchietto divaricatore allontano la guancia destra (essendo di mano destra), mentre con lo strumento operativo eseguo il necessario trattamento dei tessuti duri per ottenere l’obiettivo terapeutico di allungare la corona clinica, mentre contestualmente l’assistente deve, sul lato linguale, con una mano aspirare, azione fondamentale in qualsiasi ambito chirurgico, e con l’altra mano divaricare la lingua, gesto basilare per un adeguato accesso. Per cui quattro mani sono indispensabili. Quando poi l’operatore si accinge a lavorare sul versante linguale è consigliato allontanare il lembo linguale, magari con uno scollaperiostio (tipo Prichard) per accedere alle strutture profonde e all’osso, e con l’altra mano utilizzare lo strumentario chirurgico e non. L’assistente avrà il compito importantissimo di proteggere la lingua. Il mio consiglio è che il lembo venga gestito dall’operatore mentre l’allontanamento della lingua, per facilitare l’accesso chirurgico, da una delle due mani dell’assistente; al contempo la seconda mano deve assolutamente occuparsi dell’aspirazione chirurgica o non, proprio per garantire l’esecuzione ideale di tale procedura. Il concetto del lavoro a quattro mani è sempre valido in qualsiasi fase chirurgica che preveda un eventuale coinvolgimento di entrambi i versanti: vestibolare-linguale oppure vestibolare-palatino.
Un altro ruolo fondamentale dell’ASO è quello di aiutare il clinico soprattutto nelle fasi di documentazione del caso. Ricordo che nei primi anni ’80, fino a metà anni ’90 - comunque prima dell’avvento dei sistemi digitali - l’operatore, per documentare una fase chirurgica o un eventuale aspetto terapeutico, era costretto a fare le foto da solo e mediante un sistema di diapositive, che venivano poi visualizzate e ricevute solo dopo dieci-quattordici giorni; per tale ragione l’operatore era indotto a fare più scatti per avere alla fine un’immagine adeguata dal punto di vista iconografico. Ricordo che dovevo interrompere l’intervento chirurgico, togliermi i guanti, prendere la macchina fotografica, scattare la foto, anzi molte foto per le ragioni suddette, rimettermi i guanti e continuare l’intervento, sempre augurandomi che l’immagine fosse soddisfacente per le mie finalità di documentazione e didattiche.
Viceversa, ormai da quasi vent’anni, con l’avvento della fotografia digitale, la documentazione iconografica dei casi (almeno nel mio ambulatorio) è completamente delegata agli ASO, in modo tale da poter evitare qualsiasi interruzione della fase chirurgica (per il necessario cambio guanti), nonché prolungando tempi operativi con effetti negativi sul risultato terapeutico, sulla gestione e sulla sensibilità del paziente.
Mi affido inoltre completamente alle mie talentuose assistenti dentali per catalogare le varie documentazioni nel modo più preciso e utile.
Un altro principio che mi era stato trasmesso durante il mio periodo di formazione negli Stati Uniti, in maniera forte, e che ho continuato a seguire rigorosamente anche dopo aver terminato il percorso didattico, era la possibilità di valutare la nostra performance professionale attraverso la macchina fotografica.
Tale convincimento è ancora attualissimo: infatti, più riusciamo a documentare con un’iconografia particolarmente accurata, più riusciamo ad “imparare” dall’esito dei nostri casi clinici, ma soprattutto dagli insuccessi, per evitare in futuro “sviste”. Per cui, grazie a strumenti come la macchina fotografica oppure la telecamera, riusciamo con successo a proseguire il nostro personale processo di crescita professionale.
Qualsiasi strumento di documentazione digitale al giorno d’oggi può essere assolutamente gestito dal personale ASO, adeguatamente preparato, secondo gli obiettivi del clinico e dell’operatore.
Senza le mie ASO mi sentirei perso! Conto molto su di loro, non solo nella preparazione della sala chirurgica e degli strumenti lavorativi, ma anche a livello organizzativo e umano. Caratterialmente sono molto empatiche con il paziente e lavorano bene in team, agevolando lo svolgimento delle mie mansioni.
Per esempio, le ASO anticipano la mia spiegazione dell’iter durante la prima visita, illustrando al nuovo paziente l’importanza e la funzionalità del sondaggio parodontale.
L'intervista è stata pubblicata sul numero 4/2023 della rivista ASONEWS
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